Il Castello, definito in passato anche come Palazzo baronale, è di origine longobarda. È la “Historia Langobardorum” di Paolo Diacono a legare il destino della rocca prima alla difesa, poi alla divisione del Ducato di Benevento, avvenuta nella seconda metà del IX secolo.
La pianta del Castello, le alte torri, gli archi acuti, i cortili interni ed altre caratteristiche architettoniche dimostrano che già con il primo signore normanno (Guglielmo d’Altavilla) la rocca si era ampliata in possente “castrum”. Tale condizione fu rafforzata nelle epoche immediatamente successive, la sveva e l’angioina, quando Gesualdo consolidò definitivamente la sua Baronia.
Intorno al Castello si è sviluppata la vita del borgo, costretta a seguire per secoli l’alterna fortuna dei castelli-fortezza. Ovviamente soltanto dopo la dominazione aragonese e con la trasformazione di Napoli in vicereame spagnolo – dal 1504 in poi – anche il Castello di Gesualdo avrebbe avviato il suo processo di smilitarizzazione.
Trasformazioni e ristrutturazioni del contesto originario, dunque, sono dipese molto spesso da eventi bellici, da esigenze legate ai tempi, da catastrofi naturali e dal volere dei singoli signori che si sono succeduti nel governo del territorio.
Con il suo proprietario più illustre, il Principe madrigalista Carlo Gesualdo (1566-1613), il Castello perse definitivamente il suo aspetto di rude fortezza. Esso, divenendo residenza principesca a tutti gli effetti, si arricchì – tra l’altro – di una stamperia e di un nuovo teatro, intorno al quale fu riunita una fastosa corte artistica animata da celebri cantori, musici e poeti (tra questi ultimi, Torquato Tasso).
La cinta muraria
I lavori compiuti sulla cresta della cinta muraria esterna del Castello, a seguito della rimozione di diverso materiale, hanno riportato alla luce parti originarie dello stesso muro di cinta. Questo, sul versante orientale, si allarga fino a formare una torretta. Nella struttura principale sono emerse alcune postazioni adatte ad accogliere soldati sia in posizione eretta sia in posizione supina. Al margine delle postazioni sono presenti tagli di forma rettangolare per l’alloggiamento di armi (probabilmente lance).
Giacomo Catone (in Memorie gesualdine, 1840), a proposito della cinta muraria del Castello, parlava di “due ordini di rivellini”. Il primo, quello più distante rispetto all’antico edificio, correva lungo un confine che – vario per altezza e circonferenza – attraversava parte dell’attuale Piazza Neviera e di via Cittadella, fino a congiungersi con una delle porte di accesso al borgo (Porta Guarda Bene). Il secondo, ancora oggi a sostegno dell’alto terrapieno che circonda il Castello, “nasconderebbe” uno degli originari ingressi alla fortezza.
Antiche sepolture
I lavori di restauro hanno fatto riemergere quattro antiche sepolture che seguono l’andamento del banco roccioso naturale, il quale si presenta a sua volta con una forte pendenza da Sud verso Nord.
Tomba 1: all’interno erano conservati almeno tre scheletri (come si desume dal numero dei crani rinvenuti).
Tomba 2: all’interno è stato ritrovato uno scheletro in posizione supina, con il cranio reclinato sul lato destro e con le braccia piegate al petto (l’arcata mandibolare manca dei due incisivi).
Tomba 3: sul petto dello scheletro che vi era deposto, lungo ca. 150 cm, è stato rinvenuto uno spillone di bronzo con testa semisferica schiacciata al centro.
Tomba 4: il corredo funerario ha restituito una moneta di bronzo coniata molto probabilmente nella seconda metà del X secolo d.C. (e risalente forse a Romano I, genero di Costantino VII); lo scheletro, molto ben conservato, in posizione supina e con il cranio reclinato sul petto, presenta il segno di un colpo e denti molto bianchi.
Il sistema idraulico
La vera del pozzo al centro del cortile copre la bocca di un’ampia e profonda cisterna. Questa si colmava di acqua sorgiva per il tramite di un complesso sistema idraulico lapideo, ancora oggi oggetto di approfondimenti. La cisterna approvvigionava di acqua non solo l’intero Castello ma, attraverso canali sotterranei, anche i sottostanti palazzi gentilizi delle famiglie Pisapia, Adinolfi, Danusci, Sorga e Volpe, giunte a Gesualdo al seguito del Principe Carlo.